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Sesto mese, verso nuovi orizzonti

Siamo giunti al giro di boa, sono sei mesi che siamo dall’ altra parte del mondo a scrivere le pagine che saranno lo snodo fondamentale per il nostro futuro.

Questa considerazione si fa più forte ogni giorno che passa; fin ora ci siamo sacrificati per racimolare il massimo che potevamo e non possiamo dire di essere scontenti del risultato raggiunto.





In questo momento sto scrivendo questo articolo da una capanna in mezzo alla giungla nei pressi di Ubud, capitale culturale e centro spirituale della meravigliosa isola di Bali, nell’arcipelago indonesiano, dove ci siamo accomodati per dieci giorni, dal momento che, per riottenere sei mesi di Medicare (assicurazione sanitaria) con il Workin Holiday Visa, occorre uscire dal Paese e rientrare; abbiamo poi potuto permetterci migliori attrezzature per portare avanti le nostre passioni come una nuova macchina fotografica digitale, un drone, una Gopro Hero 7 e un portatile d’alta fascia che solo un anno fa mi sarei sognato. Come se non bastasse abbiamo acquistato il van che sarà la nostra casa per i mesi a seguire -ma di questo ne parleremo dopo- e ancora ci sono avanzati abbastanza risparmi per poterci permettere di restare tranquilli e sperare, con neanche tanti tentenni, di tornare infine a casa con il gruzzolo speso per iniziare questa svolta non poco onerosa (circa 5.000 Euro a testa). Insomma, da un punto di vista materiale non ci possiamo assolutamente lamentare, l’ Australia ha mantenuto la promessa economica che ci eravamo fatti prima della partenza e dopo sei mesi precisi possiamo dirci soddisfatti del risultato. Tuttavia non di solo denaro vive l’uomo: la nostra partenza non è stata spinta da un mero impeto venale, altresì da uno slancio di avventura, misto al desiderio di avanzamento personale e anche spirituale, che sotto forma di volonta di miglioramento, sono stati la nostra bussola e il mezzo per riempire il nostro bagaglio esistenziale nel modo più completo possibile.

Un qualcosa quindi che non si può misurare fisicamente, ma che bisogna sentire e provare giorno per giorno, dal punto più profondo della coscienza; risulta di conseguenza anche difficile parlarne attraverso le parole, che come al solito ci sono amiche nell’esprimerci, ma nemiche nel farci capire appieno; proveremo quindi a squadernare le nostre sensazioni in quel che segue, sperando che il messaggio arrivi univoco e carico di catarsi, per far provare in qualche modo al lettore quel che significa per noi questo sesto mese di viaggio.

Abbiamo lasciato l’ Italia con un grande masso sulle spalle, con poche speranze e le energie consumate dalla lotta quotidiana per la sopravvivenza, in un contesto che non lascia margine di aspettative per chi come noi non viene da situazioni già consolidate, con situazioni famigliari che mettono a dura prova la felicità di cui l’essere umano dovrebbe godere naturalmente, nonostante, va detto, il grande Amore che i nostri cari provano per noi e che non mancano di farci sentire ogni volta che ci sentiamo via telefono, ma che ha reso la partenza ancora più difficile da affrontare in verità.

Abbiamo lasciato l’Italia, casa nostra, della cui storia siamo sempre più orgogliosi, scoprendo il resto del mondo di volta in volta, e di cui brandiamo la bandiera con fierezza ogni volta che ne parliamo, con il rammarico di vederla ogni giorno rovinata da chi non fa assolutamente nulla per migliorare le cose, ma che non perde occasione per scavare buche sempre più fangose dove lentamente la nostra storia sta sprofondando sporcandosi e sgretolandosi. Abbiamo deciso di mettere da parte le nostre competenze, come migliaia di altri giovani che ogni anno partono per l’ estero, per non vederle più sminuite e sfruttate da un sistema troppo vecchio e provinciale, che con viltà non lascia spazio al nuovo, non azzarda, non rischia e si àncora ad un passato torbido e nauseabondo, portando tutto ad un’ immobilità che inesorabilmente affonda e sembra negare ogni via d’uscita.

Una volta l' astrofisico Neil deGrasse Tyson, ospite in un talk show, lesse le professioni dei deputati statunitensi, trovando solo manager ed economisti; si interrogò poi sul dove fossero gli scienziati, gli ingegneri e gli uomini d’alto intelletto in tutto questo, decretando infine come tutto fosse sbagliato.

Noi siamo messi ancora peggio, i curriculum dei nostri potenti si fermano a delle fedine penali sporche o degli ideali sbagliati, ma nonostante questo non si riesce a sbarazzarsene, cambiano soltanto le facce, ma il marcio è ben ancorato alle poltrone. I giovani che dovrebbero essere la motrice del paese, le arieti che sfondano le barricate del marcio del potere, quelli che dovrebbero portare alta la speranza, hanno smesso di lottare, hanno finito di crederci e fa molto male pensare che anche noi saremmo stati costipati in questo bacino di inettitudine e svogliatezza.

La reazione più spontanea che ci ha trasportati, come stavo dicendo, è stata mettere da parte quel poco che avevamo raggiunto e siamo ripartiti dal principio, ma dall’ estremo opposto del globo, rimettendoci i grembiuli e tornando a servire ai tavoli, con la differenza che l’ Australia ha pagato a dovere il nostro sudore e questa sarà una cosa per cui le saremo sempre grati: l’averci fatto capire quanto i nostri sforzi abbiano valore in realtà.

La ringrazieremo sempre per averci restituito la voglia di sognare un mondo migliore, di sperare in un futuro per noi stessi, di credere nelle nostre possibilità e quanto siamo fortunati ad essere italiani, nonostante tutto.

Un altro grande dono che questa esperienza ci sta facendo è quella della lingua: il dover parlare una lingua non propria quotidianamente apre la mente, portando con sé un valore fondamentale: l’ascoltare, perché quando ci si deve sforzare per capire i discorsi che si affrontano, si torna ad aprire le orecchie e si inizia a fare attenzione a dettagli della comunicazione che invece prima rimanevano inascoltati; un peccato di superficialità che ci aveva reso sordi alla lingua, a detta di tutti, più bella del mondo.

Ci è capitato una sera di chiacchierare col vecchio Jason, che come al solito si era accomodato sugli scalini del ristorante dove lavorava Michela a tracannare Bourbon, in quell’ occasione se ne è uscito dicendo che il fonema “scarafaggio” ha un suono affascinante e meraviglioso sentito da uno straniero e che, quando l’ ha sentito per la prima volta, avrebbe voluto comprarne uno, salvo poi scoprire che si riferisse a quello schifoso insetto, a cui in qualche modo la nostra lingua aveva dato un fascino nuovo solo attraverso una serie di lettere che pronunciate assumono un suono unico e seducente.

Un’ altro vanto questo della nostra terra, che dovremmo conservare come un patrimonio inestimabile, ma che solo in pochi hanno realmente idea di quanto valga.

Un ulteriore lato positivo del trovarsi a lavorare quotidianamente su una lingua che non ci appartiene appieno è quello del volerne sempre di più e quindi non fermarsi solo all’ inglese, ma provare a masticare lo spagnolo con gli spagnoli, il francese con i francesi, il thailandese, per quanto possibile, con i thailandesi e ogni altra parola assimilabile in qualsiasi lingua, perché in Australia si impara a convivere con tutti, con chi meglio, con chi peggio; ma resta il fatto che una varietà enorme di culture si incontrino in questa terra e si scambino quotidianamente esperienze e messaggi; questo ci fa capire come ogni Nazione abbia le proprie bellezze e bruttezze, magari non le si ameranno tutte, ma ci si impara a sopportare e rispettare, come esseri umani.

Tutto questo non ci sembra affatto poco: guadagnare denaro, tornare a credere in se stessi, crescere come cittadini del mondo, in un era dove il globale dovrebbe essere l’aspirazione massima e il traguardo da raggiungere; quindi nonostante gli spintoni, le fatiche e le giornate passate con la testa verso la nostra vera casa, le cadute e le ferite, questi primi sei mesi sono volati e sono stati fondamentali per quello che ci aspetta.

Ora rientriamo per il ritorno, la seconda parte del viaggio, quella che sarà più dura ma ci avvicinerà al traguardo finale, ne l frattempo vivremo per 5 mesi sul nostro van, che abbiamo ribattezzato “Er Kraken”, data la sua tinta nera e la nostra attitudine piratesca, è attrezzato a ospitarci con un letto, fornelli, sedie e tavolo da campeggio, una base mobile che sarà la nostra reggia e con esso risaliremo la costa est australiana, fino alle foreste tropicali del nord, lavorando nelle farm o nei lavori improvvisati che troveremo lungo il cammino, soli con noi stessi; per poi fare rotta verso il cuore del continente, verso la sacra roccia di Uluru a tirare le nostre somme in mezzo al deserto rosso dell’ Australia e capire quanto ci siamo evoluti nel frattempo e quanta strada ancora dovremo fare.

L’ultimo mese che rimane invece abbiamo deciso di riservarcelo per scoprire la regione del Siam, approfittando della vicinanza strategica, in un viaggio che toccherà Vietnam, Cambogia, Thailandia e Myanmar, per poi finalmente tornare ad abbracciare le nostre famiglie, i nostri amici e la nostra splendida terra, di cui sentiamo sempre più la mancanza, ora che il tempo in cui ritorneremo non sembra più così lontano.



Renato.



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