On the road #4, A caccia di Farm a Bundaberg.
- Renato | Michela
- 25 ago 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 5 gen 2021
Lasciammo Gold Coast con la consapevolezza che qualcosa stava cambiando, o forse era già cambiato.
Non mancava molto a Bundaberg, lì avremmo cercato lavoro nelle farm e la nostra vacanza sarebbe finita, questo un po’ ci rattristava, perché finora non avevamo fatto un granché, a parte viaggiare, e il clima non era stato molto clemente con noi.

Al tempo stesso, la prospettiva di mettere le carte in regola per sbloccare il secondo anno di Working Holiday Visa, ci dava una spinta importante per proseguire senza ripensamenti.
Così ci rimettemmo al volante, guidando sulle lunghe strade che ci portavano verso il nostro futuro. La forza che ci spingeva maggiormente era quella di metterci in gioco, con umiltà e grande energia, perché in effetti stavamo andando a svolgere un lavoro veramente povero, a contatto con la terra, sfruttando la forza delle nostre braccia, ma era un sacrificio che eravamo ben disposti a fare e che comunque faceva parte dell’esperienza australiana della maggior parte delle persone che avevano fatto, o stavano facendo, il nostro stesso percorso.
Lungo la strada che portava a Bundaberg ci concedemmo diverse tappe, toccando di sfuggita la città di Brisbane, nella quale non ci soffermammo più di tanto, per poi fermarci due giorni nella vicina Birbie Island, dove fummo piacevolmente colpiti da una spiaggetta isolata, la quale si trovava proprio dietro il campeggio che avevamo scelto. Era piccola e semplice, costeggiata da qualche palma sbilenca che sembrava volersi tuffare nell’acqua cheta, che lambiva la sabbia bianca, sulla quale erano posizionate due sedie, che sembravano essere state messe lì apposta per noi.
Ci sedemmo a rilassarci verso il tardo pomeriggio e all’orizzonte un cumulo di nuvole nere e minacciose sembrava puntare verso la nostra direzione, regalandoci un doppio arcobaleno che incorniciava lo stupendo cielo nel quale stava prendendo il volo un pellicano, che probabilmente aveva avvertito l’arrivo del temporale e si stava andando a rifugiare da qualche parte.
Dopo i soliti preparativi pre partenza, ovvero lavaggio dei vestiti, ricarica dei dispositivi e una bella doccia ricostituente, eravamo di nuovo on the road, direzione Sunshine Coast.
Qui cercammo un lavoro valido per gli 88 giorni che ci occorrevano per il rinnovo del visto, infatti ci era stato consigliato di dirigerci verso il porto, dove avremmo potuto trovare qualcosa nell’ambito ittico.
Per la prima volta facemmo un buco nell’acqua, non c’era lavoro per noi, ordinammo una pizza a domicilio, indicando la via dove eravamo parcheggiati con il van, la mangiammo, gustandoci anche un bel film e il mattino dopo riprendemmo la nostra via.
La strada ci portò alle tortuose rive di Noosa, dove la sabbia sembra snodarsi nell’acqua come un enorme serpentone bianco, dopo una piccola sosta ripartimmo verso Harvey Bay, ultima tappa prima di Bundaberg.
Purtroppo dovemmo saltare la selvaggia Frazer Island, territorio popolato dai dingos, perché il suo suolo è percorribile soltanto con il 4x4 e il nostro van ne era sprovvisto.
Così tagliammo verso l’interno per poi riprendere la strada verso Harvey Bay; lungo il tragitto ci fermammo a prendere un cappuccino in un bar anni 50, come quello che si vede nella scena del ballo in Pulp Fiction, nel quale era stato ricavato un tavolo all’interno di una Cadillac azzurra e la musica usciva da un Juke Box, posizionato in un angolo del locale.

Intanto da Bundaberg iniziavano ad arrivarci le prime brutte notizie: a quanto pare il lavoro scarseggiava, la stagione era stata troppo piovosa e la richiesta di lavoratori era ai minimi. In aggiunta noi avevamo scelto il periodo peggiore per partire, ormai giugno stava finendo e l’inverno australe stava avanzando.
A Bundaberg bussammo in ogni ostello, dal momento che sono loro a catalizzare il flusso dei braccianti verso i campi e fungono come una vera e propria agenzia interinale, ma niente da fare, le liste d’attesa erano lunghissime.
Al Tomato Hostel addirittura ci dissero che, se avessimo voluto lavorare tramite loro, avremmo dovuto per forza alloggiare in una delle loro camerate, nonostante avessimo un van dove vivere , questo oltre ovviamente la percentuale che si sarebbero trattenuti dai nostri compensi. Comunque sia anche loro al momento non avevano nulla da proporci, quindi anche se avessimo accettato le loro disoneste condizioni, non avremmo cavato un ragno dal buco.
Così prendemmo di nuovo la strada, cercando di farci aprire le porte delle farms direttamente, ma niente da fare, a Bundaberg facemmo il secondo buco nell’acqua.
Prima di abbandonare le speranze definitivamente e continuare in direzione nord, avevamo ancora una carta da giocare, infatti il nostro amico Simone, che aveva lavorato con Michela in un ristorante di Sydney, ci aveva lasciato un contatto di una signora che possedeva una tenuta fuori Bundaberg, un posto isolato, che ha sempre bisogno di braccia per diverse mansioni.
Impostammo il navigatore e ci lasciammo condurre nel mezzo del nulla, passammo per vallate e campi, mordendo strade improbabili e, quando sembrava che ci fossimo persi, ecco finalmente le indicazioni per la nostra destinazione.
Passammo per un ciottolato delimitato da due staccionate; ai lati dei cavalli ci guardavano curiosi e tranquilli, sicuramente erano abituati a vedere arrivare nuovi personaggi da quelle parti.
Ci parcheggiammo vicino ad un porcile, dove due piccoli e paffuti maiali vennero a elemosinare del cibo e a farsi accarezzare un po’.
Il posto sembrava fantastico, frutteti a perdita d’occhio, animali ovunque e altri ragazzi come noi che si erano accampati alla bell’è meglio, trasportati dalla brezza bucolica che spirava ovunque intorno.
Andammo verso gli uffici, accompagnati da Mango, un cane dingo che a quanto pare era uno dei padroni di casa e ci portò dalla sua padrona, una signora di mezza età, bionda e disponibile, che con un coinvolgente sorriso ci spiegò che per almeno due settimane non c’era nulla da fare, ma che potevamo metterci in lista d’attesa sul sito, compilando un apposito modulo da spedirle via email.
Ovviamente non fummo mai richiamati, ma, comunque sia, avevamo già deciso che avremmo continuato, anche perché i giorni a nostra disposizione erano sempre più risicati e se avessimo trovato qualcos’altro per strada prima di essere richiamati saremmo stati comunque a posto, mentre in caso contrario avremmo sempre potuto ritornare sui nostri passi.
La cosa più estenuante di tutta la faccenda era sicuramente il fattore tempo. Avevamo 4 mesi a disposizione e 88 giorni su cui mettere una spunta con le mani sporche di terra, ammesso che avessimo trovato da lì a poco tempo un posto dove lavorare, avremmo dovuto come prima cosa aver avuto la fortuna che fosse una soluzione regolare, non una di quelle dove i ragazzi vengono sottopagati, trattati quasi da schiavi o addirittura vedersi negata la conferma delle presenze lavorative per pura cattiveria (di queste storie ne avevamo sentite fin troppe).
Iniziavamo ad avere sempre meno chance di riuscire a portare a casa il risultato, che comunque già in partenza non è che fossero così alte, considerando la nostra pessima scelta di tempo.
A nostra discolpa va detto che non era mai stato nei nostri piani includere le farm nel nostro percorso, ma ci eravamo resi conto della loro importanza forse un po’ troppo tardi.
La realtà è che sarebbe meglio affrontarle subito, appena arrivati sul suolo australiano, ancora freschi e sicuramente in un altro periodo dell’anno. Se per esempio noi, che siamo arrivati a dicembre, dove in città non si riusciva a trovare un impiego, a causa delle chiusure per le festività natalizie, avessimo preso armi e bagagli e ci fossimo diretti verso le campagne, avremmo sicuramente trovato meno difficoltà e avremmo raggiunto il sesto mese con già le carte in regola e davanti a noi ancora un anno e mezzo per mettere da parte una montagna di soldi e di esperienze.
Se quindi tu che stai leggendo ora questo articolo, hai in mente di fare un’ esperienza simile, non fare il nostro stesso errore, non sottovalutare le farm e giocati al meglio le tue carte, perché questo era l’insegnamento che stavamo imparando durante questa parte del viaggio, l’importanza di essere nel posto giusto al momento giusto.
Renato.
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