On the road #2, Byron bay, la mente viaggia con noi.
- Renato | Michela
- 29 feb 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 5 gen 2021
Il viaggio è prima di tutto una condizione mentale, anche per questo vengono chiamati “viaggi mentali” le storie create grazie alla fantasia e l’immaginazione. È proprio quest’ ultima che risente più dell’influenza dell’essere senza fissa dimora, alla scoperta di posti mai visitati. In quel tratto di percorso che ti porta alla tua destinazione; inconsapevolmente, ti ritrovi a fantasticare sulle meraviglie che da lì a poco si manifesteranno davanti ai tuoi occhi, tutto senza un appiglio concreto vero e proprio, solamente con la forza del pensiero. Questa prima parte del road trip fusoggetto diripetute illusioni, fantasticherie e aspettative, che raramente si sono rivelate come ce le aspettavamo. Ma che comunque hanno lasciato una traccia importante nel nostro percorso, perché del resto il viaggio è anche questo, un flusso di scoperte e delusioni, alti e bassi, chilometri che scorrono inesorabili come il tempo, che rimangono indietro come il passato che ci portiamo sulle spalle, non a caso la metafora del viaggiatore è una delle più gettonate quando si vuole parlare della vita nel suo più ampio significato.

Un significato enorme, come la spiaggia di Annabay, immensa e ventosa; camminandotra le sue dune sembrava davvero di essere in un deserto senza fine, tant’è che a tratti non si riusciva nemmeno a scorgere dove finiva la sabbia e cominciava la vegetazione da una parte e l’oceano dall’altra. Stockton Beach, così si chiama questa sconfinata distesa sabbiosa, la più vasta dell’ emisfero australe, e a renderla ancora più suggestiva ci pensano i cammelli, che goffamente passeggiano incolonnati lungo il bagnasciuga. Rubammo le nostre riprese e ci concedemmo anche noi due passi, prima di ripartire verso la prossima destinazione.
Il van sfrecciava che era una bellezza, lungo gli interminabili rettilinei della Pacific Highway, come un veterano dell’asfalto, che ancora non aveva saziato la sua fame di strada. Intanto le piogge invernali ci stavano dando un attimo di pausa dal loro scrosciare, mentre puntavamo verso Byron Bay, la famosa località dove sapevamo risiedere una comunità hippie di fricchettoni e surfisti. Ma prima ci volevamo concedere una sosta a metà strada, per essere precisi a Coffs Harbour, se non altro per dare un’occhiata alla Big Banana, ovvero la rappresentazione di una gigantesca banana, massima attrazione della città.
Gli australiani vantano questa collezione di frutti giganti, sparsi qua e là per il lorovasto territorio, una cosa abbastanza simpatica, non mozzafiato ovviamente, ma comunque originale.
Così eccoci lì, come due perfetti turisti, a farci un selfie con alle spalle questa gigante gialla, in mezzo ad un’altra decina di visitatori. Sorriso da Instagram, scatto acquisito, si riparte. Destinazione Byron Bay.
Su questa località ci eravamo creati una grande aspettativa. Il sogno di una polaroid di Woodstock, riesumata dalla polvere di una vecchia cassapanca e riproposta in versione australiana, esattamente di mezzo secolo più giovane. Forse ci speravamo soprattutto per rivalutare la cultura del posto, che al momento ci era parsa ovattata e plastificata, immersa nella cultura dell’estetica fine a se stessa e del salutismo smodato. Finalmente l’ Australia ci avrebbe mostrato la sua faccia più ideologica e filosofica. Avrebbe incarnato i nostri gusti e chissà, magari ci avrebbe dato la possibilità di trovare un habitat fatto su misura per noi.
Ma arrivò il primo segnale che forse ci stavamo sbagliando: nel cercare su Wikicamp un posto dove poter accamparci a costo zero, magari con altri vagabondi fricchettoni come noi, non trovammo nulla; anzi il divieto totale di pernottare al di fuori di strutture attrezzate e a pagamento su tutto il territorio. Piuttosto bizzarro la roccaforte peace and love, anti-sistema dipinta nei nostri immaginari.
Soprassedemmo e pensammo che una volta arrivati qualcosa avremmo sicuramente trovato. Così impostammo il navigatore dritto verso il faro, che torreggia dal picco che divide le due immense spiagge di Byron Bay, chiamata così in onore del nonno esploratore del celere poeta inglese Lord Byron.
Passando per le sue strade pulite e ordinate effettivamente non si può fare a meno di respirare un’ aria rilassata e spensierata, sicuramente meno impostata e più perdigiorno rispetto alla realtà cittadina da cui provenivamo. Ma per ora non avvistavamo figli dei fiori, niente burning man del New South Wales. Niente amore libero, personaggi eccentrici o musica improvvisata da capelloni svaccati sui prati, gli unici stralci di libertà si intravedevano da altri van simili al nostro, parcheggiati di fronte alle case, inermi e smaniosi di avventura.
Tuttavia va detto che queste erano soltanto le nostre aspettative, purtroppo infrante del tutto quando abbiamo speso un prezzo alquanto borghese per un posto in piazzola, in un camping tutto sommato dignitoso e a ridosso della spiaggia.
In realtà Byron Bay è stata negli anni 70 la capitale hippie d’ Australia, ma come in quasi tutte le altre realtà del globo, questa comunità è svanita, come il periodo storico che rappresentava, e oggi sopravvive più che altro nei festival e nelle realtà culturali. Cosa che però non è successa ad esempio in un contesto cittadino come quella di New Town, a Sydney, come già descritto in un precedente articolo,che invece si è evoluta negli anni e conserva tuttora quell’essenza reazionaria, seminata e fiorita negli anni d’oro del Rock ‘n’ roll.
Byron Bay invece è diventata l’espressione del riflusso post 68, come lo definiva Indro Montanelli, che degenerò poi nel Radical Chic, quando la disillusione politica dei giovani rivoluzionari fu contaminata e snaturata da un capitalismo vincente e incontrastato, portato alla ribalta dalla rivoluzione pubblicitaria; sostenuto dal consumismo e dal materialismo, che infine uccisero definitivamente la vecchia sinistra, confinata ormai ad essere solo l’ ombra rossa in una lotta ormai conclusa, magari non persa, ma sicuramente appartenente ad un’altra epoca. Tutto questo in chiave australiana si traduce in ville vista mare, tavole da surf, belle macchine e vite spensierate fatte di filosofia Yoga da social network e capelli lunghi, setosi, al profumo di balsamo.
Come dargli torto. Un tramonto a Byron Bay è più rosso di qualsiasi bandiera e surfare le onde dorate del pacifico su cui si specchia, è un gesto abbastanza rivoluzionario, nell’epoca della corsa sfrenata all’affaccendarsi e della competizione all’americana.
Non ce la sentiamo davvero di biasimare questa scelta, infondo il mondo cambia di continuo ed è giusto fare tesoro del presente, cercare la via della serenità ad un certo punto e compiere la propria rivoluzione nel piccolo del quotidiano, perché siamo noi che cambiamo, non il mondo.
Così ci rilassammo nella nostra piazzola di campeggio borghese, mettemmo su un film di Tarantino, “4 rooms” per la precisione, cucinammo una stupenda pasta alla carbonara e ci divertimmo ad inseguire i tacchini selvatici che gironzolavano per il camping, dopo essere saltati fuori dalla rigogliosa boscaglia che circondaByron Bay; eravamo felici per le nostre scelte, perché stavamo compiendo la nostra lotta personale, con il pugno alto e senza nemici, se non noi stessi. Il viaggio on the road continuava alla grande e Gold Coast ci aspettava, con la sua aria da Miami del Pacifico, sabbia bianca e i grattacieli affacciati fin sulla riva.
Quindi forse la nostra aspettativa ci aveva giocato un tiro mancino, ma la colpa, se ce n’è una, non è assolutamente di Byron Bay, che comunque resta una bellissima realtà che vale la pena di visitare, semplicemente noi stavamo cercando la cosa sbagliata nel posto sbagliato.
Forse avevamo bisogno di non trovarla, perché il viaggio che stavamo facendo era ancora lungo e impegnativo e noi dovevamo tornare con i piedi per terra, anche perché più salivamo nella mappa, più il nostro piano di trovare lavoro nelle farm si delineava; i giorni di totale libertà iniziavano il loro conto alla rovescia, così ci prendemmo un giorno in più in quel campeggio che a dirla tutta ci piaceva anche, infondo, ci sistemammo per bene e salutammo Byron Bay, con un sorriso un po’ dispiaciuto, ma comunque grato per quello che ci aveva donato.
Renato.
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