New Town, A sky full of stars
- Renato | Michela
- 17 dic 2018
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 9 gen 2019
Quando ci si sente smarriti spesso si chiede consiglio alle stelle; loro, così silenziose e rivelatrici, ci guidano nei nostri smarrimenti.
Lo fanno con noi, che lontani da casa cerchiamo noi stessi, anche se le guardiamo da molto prima della nostra partenza; lo hanno sempre fatto con gli esploratori come il Capitano Kook, quando solcando i mari in cerca di nuove terre e nuove avventure, si trovavano ad attraversare l'immensità degli Oceani; e in qualche modo lo sono state per i 250 fan dei Coldplay, quando speravano di essere scelti come comparse per il video di “Sky full of stars”, il giorno in cui sui social usciva la chiamata della Band verso i propri sostenitori; infatti questa clip è stata girata le vie di New Town, un quartiere che galleggia negli anni della Summer of Love, anni in cui gli Hippie si facevano grandi viaggi cosmici e l’uomo conquistava la Luna e lo spazio.

"Non riesco più a trovare il mio occhio per l'estetica" penso, mentre sto provando a cimentarmi con il video editing, sotto l'attenta sorveglianza di MIchela. Mi sono reso conto di aver visto talmente tante cose esteticamente ed eticamente brutte, che non ricordo più come sia fatto il bello.
Mi è venuto questo tarlo giudicando assieme le mie riprese pomeridiane di New Town, un quartiere dove ogni angolo ha una carica scenografica impossibile da non sfruttare.
Forse l’errore è stato di non aver più guardato i grandi per trarne ispirazione, ritrovandomi chino sul mio cellulare, ad ingurgitare l' insignificanza e la banalità di cui pullulano i social network. Una sequenza di creazioni poco impegnative, che si sono ripercosse nella mia quotidianità e hanno iniziato a farmi vedere una realtà grigia e insignificante, pigra e povera. Mi sono abituato pian piano a seguire la vita nel suo divenire, senza curarmi dei dettagli dove risiede l'essenza, nelle piccole cose e in quelle giganti, nelle vicine o nelle lontane. Penso di aver perso un po’ me stesso, intrappolato fra questi due mondi. E, nel momento in cui abbiamo deciso di partire, ho letto nello sguardo di Michela uno sconforto molto simile.
Ma, per ogni turbamento esistenziale, esiste una risposta data da un qualche grande Saggio indiano, che aspetta solo le orecchie giuste per essere rivelata.
Ricordo di uno che una volta ci disse: “Guardando le stelle, io posso sempre tornare a casa mia”.
In realtà queste parole sono uscite dalla bocca del nostro coinquilino indiano, Hamdan, della città di Aligarh, impiegato nel settore dell'abbigliamento, la sera in cui rientrammo da New Town, mentre citava una battuta di Capitan Barbossa, mitico personaggio della saga de 'Pirati dei Caraibi'; che non sia il Mahatma, siamo tutti d'accordo, ma in realtà poco importa chi abbia proferito tali parole, la vera magia sta nell'universo che esse si portano dentro.
In quel momento, in cui eravamo ben lontani da quella che è la nostra dalla nostra terra, ci siamo trovati a domandarci come qualcosa di così impalpabile, se non con la vista, come le stelle, potessero avere il potere riportarci nel luogo più vicino a noi, a casa, come era nelle convinzioni di Capitan Barbossa.
Quella sera stavamo sul terrazzo, mentre, nel cielo notturno di Sydney, stavamo cercando la Croce del sud, così per gioco, fumando una sigaretta.
Questa, per i marinai, è la costellazione Madre della volta celeste australe, ovvero l’equivalente speculare di ciò che l’orsa maggiore e la Stella Polare rappresentano per noi che viviamo a sopra l’equatore. La sua importanza è tale da vederla raffigurata a fianco della Union Jack nella bandiera australiana.
Ed era proprio verso di essa che stava navigando, intorno al 1770, il Capitano James Cook, ennesimo tra gli uomini ad osservare le stelle, primo esploratore a mettere piede in Oceania, un continente che tuttora noi europei ci immaginiamo come un luogo incantato, come 'l’isola che non c’è' di Peter Pan, quasi un posto che possiamo solo raggiungere nelle nostre fantasie, come un pianeta lontano.
Cook era un leggendario esploratore della Corona Britannica, potenza che dominava i mari di quegli anni; lo scopritore che, oltre due secoli addietro, approdò a Botany Bay aprendo la strada verso il continente nuovissimo, dimenticato da lungo tempo da Dio, all’incirca dai tempi della deriva dei continenti.
Oltre che essere esperto navigatore, impavido esploratore e rinomato cartografo, fu noto anche per avere avuto un proprio rimedio segreto contro la Scabbia, malattia tipica delle ciurme, che provoca orrende infezioni cutanee, a causa di minuscoli acari, che si annidano sotto la pelle dei corpi che vanno ad infestare.
Una pestilenza tanto disgustosa quanto capace di diffondere grandi epidemie, le quali rappresentavano un grande impedimento per queste lunghe traversate.
Nel tempo si è giunti a credere che il Capitano, uomo di grande intelletto, avesse scoperto una correlazione tra questa malattia e la carenza di vitamina C; a seguito di ciò ordinò ai suoi uomini di caricare più arance possibili nelle stive dei suoi convogli e di mangiarne in grande quantità. Si garantì quindi la stima dei grandi finanziatori inglesi, che gli concessero ottime sovvenzioni, guadagnandosi un posto sul trono dei dominatori dei mari di quel tempo.
Per quanto questa leggenda possa essere vera o meno, non sarebbe comunque mai stato nessuno se non avesse imparato a capire i consigli delle stelle.
Allo stesso modo degli scienziati, degli artisti, dei maestri religiosi, o i grandi pensatori, da quando esiste la civiltà, le più grandi domande sono rivolte agli Astri, in quanto custodi delle risposte difficili da trovare; infatti senza bisogno di dire niente, guardando verso il cielo, nel silenzio, verso l’infinito, si riesce ad ascoltare meglio sè stessi, per comprendere.
In un mondo sempre più rumoroso, specialmente nelle grandi città come Sydney,
vagabondare per le vie del sobborgo di New Town è stata un'esperienza molto simile a quella di perdersi nel cielo notturno; un quartiere a sè stante, dove tutto è più calmo e il tempo sembra essersi fermato, mentre tutto intorno gira veloce.
Negozi di dischi, di vestiti vintage, studi artistici, hippie scalzi che bighellonano lungo i marciapiedi, cultura del misticismo, odore di incenso e di carne alla brace, possono dare solo una pallida idea di quanto ci si ritrovi in un altro tempo camminando lungo le sue strade. Tutto sembra più lento e colorato, i muri sono ricoperti per la maggior parte da graffiti, ovunque si respira la street art fine a se stessa e i tralicci sono sorretti da grezzi tronchi sghembi e maestosi nella loro naturalezza.
Siamo riusciti a stupirci praticamente per tutto il tempo in cui l’abbiamo esplorata, incontrando pappagalli colorati che svolazzavano da un albero all’altro e abbiamo collezionato parecchie esperienze tipiche del quartiere.
Abbiamo mangiato un ottimo Hamburger da Mary’s, un pub dall'aria rock metal recuperato in una vecchia chiesa sconsacrata; una citazione ben riuscita del Titty Twister, teatro del capolavoro dei fratelli Rodriguez “dal tramonto all’Alba” -Cult della cinematografia Mexico-statunitense interpretato da George Clooney, Salma Hayek e dal maestro Quentin Tarantino-.
Ci siamo dissetati da Young Henrys, birrificio artigianale dal sapore garage e trash, ma colorito da quello spirito surfer che distende i nervi in tutta la grande metropoli Australiana, che, oltre essere un ritrovo della cultura underground cittadina, è produttore della birra New Towner. Ottima a nostro parere, ma che non ci sentiamo all’altezza di decantare, visto che la nostra cultura birraia non è all’altezza della nostra sete, purtroppo.
Infine ci siamo persi tra le stampe di 'Blue dog posters', uno spazio che offre un’ incredibile collezione di artisti e illustratori locali e internazionali, tra cui Banksy e uno dei nostri nuovi miti: Amit Shinomi, creatore della collezione #hipstory.
Siamo stati rapiti dai negozietti tibetani ed etnici, camminando tra filari di vestiti colorati, dopo aver assaggiato lo Stiky rice thailandese, un dolce a base di riso e cocco; il tutto incorniciato da una fresca pioggia, le cui gocce ci rinfrescavano le guance, mentre il sole, che splendeva nel cielo pomeridiano, le faceva brillare in maniera così naturale da non farcene nemmeno accorgere, tanto eravamo estasiati dal nostro tour.
Raramente ci siamo sentiti così in pace con l'universo, tanto da coglierne l'immensità in una situazione così concreta. Non è nemmeno un caso che i Coldplay avessero scelto questo set per cantare:“Cause you're a sky, 'cause you're a sky full of stars”; mentre Chris Martin passeggiando, travestito da One man Band, lungo la strada principale New Town, circondato da 250 fan, fin sotto il murales dedicato alla celebre frase di Martin Luther King “I have a dream”; quasi come ad intendere che i sogni, il progresso, il futuro, le lotte e le vite di ciascuno di noi, in qualche modo, saranno sempre legati a quelle luci lontane nel buio.
A malincuore giungeva l’ora di salutare New Town, il lato bohemien e pacifico di Sydney, allungandoci verso la sua stazione, a poche fermate da Circular Quay. Un pochino ci sentivamo meno lontani da casa, o forse un po’ più vicini a noi stessi, forse le due cose combaciano, chi lo sa.
Forse le stelle hanno voluto rivolgersi a noi in questo modo.
E, mentre ci giravamo a lanciarle l'ultima occhiata, ci accompagnava una scia di bolle di sapone, provenienti da un congegno, montato sulla bicicletta, meravigliosamente sgangherata, di una vecchia hippie scalza, coi capelli color arcobaleno, che pedalava per le vie di New Town.
Renato
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