Milano, La capitale degli opposti
- Renato | Michela
- 23 nov 2018
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 24 nov 2018
Una città sospesa come un ponte tibetano tra tradizione e innovazione, tra ricchezza e povertà, tra verità e menzogna, tra semplicità e opulenza. Con la sua architettura, che abbraccia le epoche dal Bramante a Stefano Boeri, Milano la sia ama e la si odia allo stesso modo, anche grazie alle sue innumerevoli trame sociali, che fanno di lei un ecosistema in continuo fermento, un mosaico di punti di vista che creano una realtà vivace, ma che mette a dura prova ogni suo abitante.

Questo per ora è il viaggio più lungo che io e Michela abbiamo intrapreso, circa 5 anni a testa, Milano è più una seconda casa che un’avventura. Quasi impossibile scrivere oggettivamente su un amore così tormentato, abbiamo amato e odiato questa città all’ estremo. Ma ‘Milan l’è gran Milan’.
Milano è una matrigna più che una madre,perche questa città non ha la pretesa di difendere nessuno, genera lupi e lascia che sia la selezione naturale a fare il resto; ha grandi mammelle da cui tutti i suoi figli possono succhiare, ma non si piega mai per avvicinarle alle bocche affamate. La consigliamo spesso ad amici che vogliono muovere dalla provincia in cerca di un riscatto.
Da buona capitale della moda mostra i suoi mondi meravigliosi, le sue stupende donne e i terrazzi panoramici da dietro una vetrina, li fa desiderare, quasi toccare, poi da buona capitalista ricorda che per averli bisogna sudare, tanto, e produrre per lei tutto il possibile, nella speranza di arrivare un giorno a possedere tutto ciò che ti ha fatto sognare.
Spesso di lei intimorisce la superficialità di un'estetica fine a se stessa, effimera e soggiogata al culto dell'industriale senz'anima, il tipico dandy della movida, opulento e privo di sprezzatura; la tipica caricatura riscontrabile, all'incirca, in ogni pirla baldanzoso frutto della San Babila anni '80, del movimento paninaro e della Fashion Week.
Ma questi esponenti della fauna milanese li si incontrano ormai solamente nell'ambito lavorativo; anche perchè, fortunatamente, li troviamo sempre più di rado, magari in qualche ristorante in centro, a fare avanti indietro dai bagni, accompagnati da antiche muse, ormai ridotte ad ammasso di botulino, palesando una brillantezza da parvenu, che si sposa perfettamente con la crisi di mezza età da cui sono incalzati.
Comunque sia, dopo 4 mesi dopo il trasferimento qui si guadagnano in media 4 o 5 Km/h sull’ andatura del proprio passo di marcia, ci si inizia ad immergere nel tessuto cittadino e ci vorrà poco prima di iniziare a scansare le persone per strada e a insultare chi non tiene la destra sulle scale mobili (questo è fondamentale se volete visitare Milano: 'föra di ball'; cioè non siate di intralcio a chi sta fatturando; aggiungeremmo un 'Pheeega!' a questo punto).
Nel frattempo comunque si può anche rimanere con i piedi per terra, visitando mostre meravigliose, monumenti e ammirando l'architettura senza tempo di questa città antichissima, che ha resistito alla tumultuosa storia d’Italia e ci dona bellezze nascoste in tutti i suoi angoli. Come dicevo: da Bramante e Boeri.
Uscendo dai bastioni ci si ritrova in una realtà differente, nel cosiddetto Underground, noi lo vivemmo negli anni in cui Milano strizzava l’occhio a Berlino e si auto-eleggeva capitale italiana della musica Tekno, che dai free party si era espansa fino a conquistare i club delle maggiori città europee.
Qui ci trovammo una città più sincera, che non aveva paura di mostrare le sue cicatrici e le sue bruttezze, una realtà così lontana dalla patinatura ordinaria, da sembrare un mondo parallelo.
Andavamo a tutte le serate, facevamo after, bazzicavamo per i quartieri malfamati della parte sud di Milano, come Corvetto e Barona, senza preoccuparci di nulla, galleggiavamo negli ambienti ai confini.
Avevamo scelto quale Milano avremmo vissuto. Abbiamo conosciuto persone, che nella loro problematicità, mi hanno mostrato lati della vita su cui non avremmo mai ragionato, altrimenti, e adesso ci troveremmo con grandi lacune, anche se alcune non ci dispiacerebbe averle. Ci ha insegnato a tenere duro anche quando il mondo sembra girare al contrario, a tenerci stretta la vita; abbiamo appreso l'arte del vivere la giornata, arrabattandoci per la sopravvivenza; abbiamo appreso la nobile e antica arte del trafficare (quello che oggi chiamano networking): ottenere informazioni, conoscere persone, collegare i bisogni, instaurare amicizie, conoscere le realtà e alla fine unire i pezzi del puzzle, per ricavarci un tornaconto personale; e soprattutto, infine, a farci carico delle nostre scelte e delle nostre responsabilità.
Questa è la Milano che ci porteremo dietro, lontana dalla moda, dallo shopping, dalla finzione; quella nascosta dietro i graffiti e nei numeri occultati, nelle rubriche telefoniche della Milano che conta.
A questo si lega la realtà che andiamo a raccontarvi ora, per cercare in qualche modo di farvi capire l'angolazione con cui noi vediamo questa città meravigliosamente decadente.
Ci troviamo nei pressi di Porta Romana, a ridosso della cerchia dei bastioni (linea circolare che divide le case dei milanesi col Cash da tutto il resto del mondo), a pochi passi una delle scuole più prestigiose e costose del panorama italiano, l'università Bocconi, fucina di menti preparatissime, destinate ad avere ruoli rilevanti, come i genitori da cui discendono.
Siamo al numero 42 di viale Bligny e tra palazzi storici in stile liberty, ristoranti, locali di classe e le schickosissime terme di Milano, troviamo un casermone maltenuto e dall'aspetto losco.
Solo entrandoci ci si rende veramente conto di cosa si tratta. Varcato l'enorme portone di legno, dove non è difficile trovare brutte facce appostate come sentinelle che monitorano l'andirivieni, ci si ritrova catapultati in un mondo parallelo fatto di montagne di cianfrusaglie, ammassate come opere d'arte contemporanea, lumini e santini che onorano gli scomparsi, intonaci che si sgretolano sulle facciate, biciclette buttate,-tra le quali probabilmente c'è anche la tua- e personaggi affacciati alle finestre che studiano i movimenti dall’alto.
Sembra quasi una Favelas in centro. Bligny 42 è un neo sulla faccia di una donna bellissima, c'è chi la vede come un'imperfezione e chi ne viene colpito, come da un dettaglio che rende il tutto più interessante.
Michela stava per ritrovarsi a vivere là dentro, una mia cara amica invece poi ci visse per davvero. Dice che si è trovata benissimo e io le credo.
La storia di questo casermone della droga e della prostituzione è affascinante, a tratti noir, a volte bohemien e spesso malavitosa. Vi invito a leggere il libro di Andrea Staid "i dannati della metropoli", un antropologo che ha vissuto in questo complesso, per farvi un'idea più precisa della realtà ad esso collegato.
Da qui è passato di tutto: le brigate rosse, gli anarchici, gli stragisti e i terroristi, gli operai del sud Italia arrivati negli anni '50, gli stormi migratori nordafricani, i writer delle metropolitane, i latitanti delle ‘Ndrine meneghine, come anche molti poliziotti in borghese, gli studenti meno abbienti, le prostitute dell'est Europa, i transessuali sud americani, gli spacciatori, i Latinos col machete, i clienti dell'illegalità e la gente normale, senza pregiudizi; e tutti insieme hanno creato un alveare così variegato, che nessuno riesce a decodificarlo.
Basti pensare che uno degli artisti più controversi, dibattuti e quotati della nostra epoca, Maurizio Cattelan, ha eletto Bligny 42 come base per il suo Atelier, per capirne l'importanza sociologica.
Milano farà per sempre parte di noi, soprattutto per via di questi dettagli e delle sue contraddizioni. La ringraziamo per averci insegnato ad alzare il velo delle apparenze e come tutto è collegato, da un opposto all’altro; per vedere quanta bellezza rimane nascosta dietro le rughe di una anziana signora, che, seduta su una vecchia sedia di vimini, chiacchiera con le comari in cortile, ricordando quanto brilla lassù, la Madonnina del Duomo; e quanta bruttezza invece abbiamo trovato sul volto della Sciura impellicciata, che non riesce nemmeno a bere dal suo flute lo Champagne, perchè la pelle troppo tirata, rischia di far saltare l'impalcatura della sua faccia ormai deforme.
Renato
Comments