top of page

Migrazione Giovanile, opportunità o problema?

Aggiornamento: 7 gen 2021

Secono i dati ISTAT, nel decennio 2009-2018, 250.000 giovani italiani sono partiti... Ma per andare dove?


Stati Uniti, Australia, Danimarca, Canada, Svizzera; solo per citare le destinazioni più quotate.

Ma la lista sarebbe tristemente lunga.

Anche noi di Wanderlust facciamo parte di questa grossa fetta di popolazione, per questo ci teniamo paricolarmente ad affrontare l'argomento. Più per capire le motivazioni e trovare una soluzione al problema, piuttosto che buttare ulteriore benzina sul fuoco. Perché in questo periodo abbiamo tutti davvero un gran bisogno di collaborazione e non di ulteriori schieramenti.



Perchè i giovani partono per lavorare all'estero?


Tutti si chiedono il perché di queste partenze. Ci sono analisti, economisti, sociologi, fior fior di task forces, incaricate dalle forze politiche in gioco tra i nostri partiti, che lavorano instancabilmente per trovare una soluzione definitiva a questa problematica, che affligge il nostro sistema.


No, non è vero, a nessuno sembra fregare nulla.

Però qui la gente della nostra età continua a spostarsi e un motivo deve pur esserci.


Così abbiamo ripensato a tutte le persone come noi, che abbiamo incontrato durante i nostri viaggi e alle loro storie e ci siamo documentati un po' sull'argomento.


La verità è che ci sono novantanove motivi per cui qualcuno dovrebbe partire, ma, quello più comune tra le nuove leve italiane che cercano fortuna all’estero, è il centesimo:


Si parte per avere il giusto.


Attenzione...

Non per avere di più: come potrebbe essere per chi migra da una terra povera e disastrata, per scappare dalla fame e dalla guerra.


O per cercare qualcosa altrove che qui non c’è: come potrebbe essere per chi cerca la propria spiritualità nel mistico Oriente.


Qui, grandi masse di under 35 partono perché qualcosa gli è stato tolto e non c’è altro modo per riprenderselo.

Agiscono nel modo che più si addice a questa generazione.



Disoccupazione. I giovani non hanno voglia di lavorare


Spesso si sente dire: i giovani d’oggi non hanno voglia di lavorare.

E allora perché partono a cercare un'opportunità altrove?


Potrebbero starsene a casa con i genitori, magari cercare di rimediare qualche sussidio per arrabattarsi in qualche modo, tra una partita alla Play e qualche lavoro in nero, saltuario e sottopagato oppure qualche tirocinio senza prospettive d’assunzione.


Eppure il fenomeno della migrazione per queste fasce d'età è un processo in costante aumento ed è direttamente proporzionale alla disoccupazione giovanile (inteso come individui che né lavorano, né studiano), che quest anno è al 27,8%, contro una media europea del 16,4%.


Un numero davvero elevato e un inutile spreco di risorse.

La scuola pubblica (ovvero i contribuenti) ha investito denaro e risorse, per formare e istruire menti, che ora andranno a portare le proprie competenze altrove.

Alimentando la crescita di economie straniere, versando contribuiti a pensionati che preferiscono una tazza di tè, piuttosto che un caffè fatto con la Moka.


È una storia ormai vecchia come questo Paese. Ci perdono tutti, ma non importa a nessuno, finché il piccolo orticello davanti a casa non viene attaccato.


Migrazione giovanile, una protesta silenziosa


Quando si guarda indietro alle grandi battaglie del mondo moderno, sembra di pensare a qualcosa di lontano nel tempo, un qualcosa che oggi non può più accadere.


Non è più il tempo delle lotte sindacali, o del pacifismo hippie, non ci saranno più Carletti Giuliani; è il tempo dell’assenza di questa generazione.

Che preferisce essere altrove, piuttosto che vedere questo scempio.

D’altronde nulla ci trattiene dal fare questo passo.




Siamo una generazione altamente scolarizzata: abbiamo competenze praticamente in ogni

ambito, soprattutto nei nuovi mezzi di produzione, progettazione e comunicazione.


Abbiamo studiato inglese a scuola: possiamo farci capire ovunque, acquisire padronanza di un nuovo linguaggio con minor sforzo, imparare dalle altre culture e arricchire il nostro bagaglio di conoscenze.

Siamo cresciuti nell’epoca dei computer: la tecnologia è nostra alleata, non un mostro a cui dare fuoco come fosse un’antenna del 5g; ci semplifica la vita e sappiamo utilizzarla meglio di chi appartiene alla generazione prima della nostra.


Siamo nati sotto il segno della globalizzazione: il sistema mondiale invita la libera circolazione di cose e persone. Il Mondo ci trascina a farlo.


Noi possiamo andare ovunque e riprenderci quello che ci hanno tolto, quando decidiamo di farlo.

Non siamo costretti a stare in un posto per tutta la vita e possiamo scegliere quali regole seguire.


Fuori dai nostri confini esiste una realtà diversa, che ha già il sapore del domani:


con piani di riforme per il futuro ben delineati;

un forte impegno nel campo dell’ ecosostenibilità;

la speranza di avere una pensione un giorno;

un posto dove far crescere dei figli a nostra volta;

in un sistema che non rischia il collasso;

con politiche scolastiche all’avanguardia;

e una società aperta alle nuove forme di collettività.

Magari in un posto dove non viene proposto un tirocinio con rimborso spese e al tempo stesso si richiede personale con esperienza,

dove la burocrazia sia a portata di click, non un labirinto senza fine.

Un luogo dove la meritocrazia sia oggettiva,

dove le differenze siano appiattite a favore del concetto di persona;

e dove il consumo e il commercio delle droghe leggere non sia proibito, ma depenalizzato e regolamentato a favore dell’economia reale e non del mercato nero.


potrei andare avanti all’infinito.

Ma queste prospettive avranno sempre un gusto dolce amaro per chi parte.

Perché lasciare Casa non è mai semplice.


Il prezzo della migrazione


L’abbiamo provato noi stessi, sulla nostra pelle, quando siamo stati in Australia per un anno. Per quanto possa essere pieno di opportunità un paese straniero, anche il più ospitale, non potrà mai cancellare la nostalgia della terra natìa.

Quando certi ricordi tornano alla mente, o quando si sente la mancanza dei propri affetti, ci si ritrova a essere in un posto lontano, che non sembra appartenerci.

Ma, come si dice: a mali estremi, estremi rimedi. Si ingoia l'amaro boccone e e si impara ad andare avanti, tenendo i bei ricordi e scartando la malinconia.


Il punto è... quelli che rimarranno, privati di queste forze indispensabili (considerando anche tutti i laureati, che sono circa il 25%) cosa faranno poi, quando la storia chiederà loro il conto?

Perché prima o poi gli effetti di questo fenomeno saranno un ulteriore problema. Secondo IlSole24Ore nel decennio dal 2009 al 2018 il prezzo da pagare è stato di 16 miliardi di Euro (1% del PIL). Il risultato sarà che l’economia si indebolirà ulteriormente e si chiederanno nuovi sacrifici da parte del popolo.


E lì cosa accadrà? Si darà ancora, per l’ennesima volta, la colpa a chi c’è stato prima? O per una volta potremmo pensarci tempestivamente e trovare una soluzione prima del punto di non ritorno?



Fateci sapere la vostra opinione nei commenti.


Oppure sui nostri social:





Renato.










Commentaires


bottom of page